lunedì 30 maggio 2011

CPO USIGRAI: LUNEDI' 6 GIUGNO LA PRIMA ASSEMBLEA DELLE GIORNALISTE

Per la prima volta la Commissione Pari Opportunità dell'Usigrai indice l'assemblea delle giornaliste. Un momento di incontro con le colleghe, per informare delle attività fin qui svolte dalla Commissione Pari Opportunità dell’Usigrai e per confrontarci sui problemi che affrontiamo nelle redazioni.
Saranno forniti i dati aziendali sulla presenza delle donne giornaliste in Rai, sarà presentato un questionario che ha come obiettivo quello di "fotografare" più nel dettaglio la presenza femminile in azienda. Saranno affrontati i  problemi legati alla maternità, nel precariato e non,  i percorsi professionali per chi fa la conduttrice, o l’inviata o chi sta nelle trincee delle redazioni: spesso alle prese con demansionamenti , violazioni contrattuali e penalizzazioni anche legate all’età.
E poi  la necessità di una riflessione su come il servizio pubblico rappresenta l’immagine della donna nei programmi come nei telegiornali: l’assenza della donna reale e il perpetuarsi di stereotipi nocivi al rispetto della sua dignità.

"Dove siamo state"
Intervento introduttivo di Alessandra Mancuso

13 febbraio. "Se non ora quando". Un milione di donne nelle piazze d'Italia. Si è detto che era contro Berlusconi. Era invece la reazione corale a una questione nazionale ormai al limite di guardia: il rapporto tra sesso e potere, il rispetto della dignità delle donne. Come il potere usa e rappresenta le donne dell'immaginario maschile nel discorso pubblico (battute e barzellette), come da "cortigiane" le promuova a cariche e ruoli politici e istituzionali senza relazione con merito, capacità, esperienza. Lo spazio che abbiamo nella società: welfare carente, tanta fatica, pochi soldi e posizioni marginali nelle classi dirigenti del Paese. Il 13 febbraio ha dato voce ,e immagine, a un comune sentire.
Noi siamo due volte interpellate come giornaliste del servizio pubblico: lo siamo come donne (e in molte eravamo in piazza del Popolo) e al tempo stesso per il ruolo centrale che hanno i media nel discorso pubblico e nella cultura del Paese.
Con questa assemblea vogliamo rompere un silenzio. Non ci vediamo dal 2006. Molte ricordano: una raccolta di firme, il convegno a viale Mazzini con i vertici aziendali e della Vigilanza, il documento "Tante quanti", l'apertura della vertenza "tavolo rosa" in paritetica, l'incontro con il ministro Pollastrini … Chiedevamo "quote" nelle promozioni ma anche una politica di conciliazione dei tempi, di vita e di lavoro: il 2007 fu tutto dedicato dall'Usigrai alla realizzazione del nostro primo nido aziendale con la Cpo Rai.
Quel percorso si è interrotto, per l'assenza dell'azienda, per la sua deludente retromarcia sul nido che era ormai a portata di mano. Per le nostre difficoltà in Usigrai.
E oggi, se nel nuovo Contratto di servizio si chiede che la Rai si doti di un sistema di monitoraggio sull'immagine della donna, ciò è risultato dell'associazionismo delle donne che si è mobilitato chiedendolo. Movimento che non ha visto la nostra partecipazione, né quello delle altre lavoratrici Rai.
E' una questione più che matura, decotta. Abbiamo detto tutto, scritto tutto. Ora ci vogliono risposte, soluzioni, che siano resi effettivi gli strumenti. E' ora di tornare in campo come giornaliste Rai e chiedere all'azienda di decidere a chi affidare e come realizzare il monitoraggio. E sarà questo un interessante terreno di prova per il primo Direttore Generale donna Lorenza Lei.
La questione "quote", che pure non ci appassiona particolarmente, non è "obsoleta": basti pensare che il tema ha aperto il Festival dell'Economia a Trento. O alla legge appena approvata anche in Italia sulla presenza di genere nei Cosigli di amministrazione.
Inutile ricordare i dati della nostra irrilevanza ai vertici in questo Paese: si è calcolato che con gli attuali ritmi di crescita ci vorranno 70 anni per la parità. E anzichè agire per rimuovere le cause dell'ineguaglianza, si volatilizzano anche i 4 miliardi i 10 anni dall'innalzamento dell'età pensionistica che dovevano essere destinati alle politiche di conciliazione, alle donne!
Al vertice Rai c'è un Direttore Generale (finora solo due Presidenti) e ci sono solo due direttori di testata, (Teche e Tg3, al terzo direttore donna). Finora le top manager della Rai potevano ambire a posizioni giudicate "marginali" dal potere e dalla politica. La Direzione Generale è il cuore del potere. Un dato nuovo ancora da valutare alla prova dei fatti.
Non c'è differenza nell'esercizio del potere: ci si omologa a logiche e sistema dominante, un dato a lungo ragionato e ormai acquisito. (Ma siamo sempre pronte a ricrederci!). Dietro lamentazioni di "mobbing" ci accorgiamo che a volte ci sta un superiore donna, del resto.
E però, mi sembra giusto registrare, anche, che "Se non ora quando" è stata ben rappresentata nell'informazione Rai, oltre alla Radio e all'all news, solo grazie al Tg3. E magari in un tg, in redazioni dirette da donne, non si chiedono avvilenti servizi sulla prova costume e sulla cellulite.
E allora: differenza nel prodotto ma omologazione nelle dinamiche di potere autoritario? E' legittimo ragionarne, anche nel fare sindacato delle donne, naturalmente.
Dove siamo
L'agenda sindacale è fatta di problemi concreti. Qual è più in generale il nostro ruolo nelle redazioni.
Un risultato importante lo abbiamo ottenuto con la riforma dello Statuto Usigrai - aprile 2009: non solo perché la Cpo è diventata commissione statutaria elettiva (con meccanismi trasparenti di selezione, in congresso) ma perché, da "apripista" come spesso capita all'Usigrai, abbiamo introdotto le quote di genere nelle candidature (il 30 per cento). E molte colleghe sono state elette tra commissioni ed esecutivo. Il vicesegretario Usigrai è donna.
I dati che ci ha fornito l'azienda fotografano la nostra fatica ad avanzare nella carriera. Ma la fotografia non è fatta solo di dati.
La stabilizzazione dei precari ha immesso nelle redazioni moltissime colleghe. Le più "giovani" che devono far fronte a problemi di organizzazione familiare e di maternità in un ambito professionale che non è a "orari flessibili".
E l'ingresso così rilevante delle donne, più "giovani", dal precariato alle redazioni, genera - si fa sempre più marcato - anche un problema generazionale per le più "anziane" che si vedono "scalzare" (come inviate e conduttrici) senza che sia loro offerto il giusto riconoscimento di carriera, un ruolo direttivo come sarebbe naturale in virtù dell'esperienza, dell'anzianità aziendale. C'è il rischio di essere marginalizzate. E che aumentino i demansionamenti.
E' avvilente guardare, come riflessi allo specchio, i ruoli che ci sono riservati. Non guardiamo le poche che, non sempre per merito, arrivano a posizioni ambite. Qual è il posto che ci viene assegnato?
Nelle line entriamo tardi e poi restiamo a lungo, se non fino alla pensione, nelle posizioni intermedie e marginali. Guadagnando meno. Ci spingono al video, perché siamo "ornamentali". E c'è, è vero, una corsa anche delle colleghe al video. E' la cosa più a portata di mano. Ma poi ecco la differenza con gli uomini: le conduttrici devono essere giovani, "fresche", carine. Non: autorevoli e di spessore professionale. Nella testa dei direttori, spesso, e non in tutti per fortuna, c'è il modello velina o "segretaria". (Parlo del modello in testa agli uomini, non delle colleghe naturalmente)
C'è insofferenza per le conduttrici e le inviate più "navigate" che mostrano autonomia di critica e spirito dialettico. Il modello da imporre è un altro. E, mi dispiace dirlo, vedo poca consapevolezza nelle colleghe più giovani che arrivano al video o diventano inviate.
Fanno fuori le "vecchie" dicendo che fanno tappo alle "giovani". Se non riusciamo a costruire un tessuto unitario ci dividono, ci strumentalizzano. Un gruppo di colleghe del Tg1 lo ha detto con una lettera. E forse quella lettera avrebbe potuto suscitare altri interventi. Ci vorrebbero più iniziative, anche spontanee...
Non partiamo da zero. In questi anni abbiamo spazzato via luoghi comuni e ci siamo fatte pragmatiche. Abbiamo bisogno di maggiore partecipazione. Abbiamo tutte un comune senso di appartenenza al servizio pubblico, un'azienda in cui crediamo. E questo senso del valore del servizio pubblico e l'orgoglio di farne parte, ci dà delle responsabilità. Quest'assemblea serve anche a raccogliere energie e disponibilità a lavorare con la Cpo e a immaginare un percorso. Per poi magari ritrovarci e verificarlo.

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